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I Moise

Le origini
 
 
                                        
Cosliacco - Kožljak
Ieri e oggi
 

di Gianmichele Moise
 
Martedì, 9 settembre 2014
Finalmente affronto quel passato fatto di racconti sentiti e risentiti, spesso "infiorettati" come amava dire nonna Ljeposava, e vado alla ricerca delle antiche rovine di un castello dove, per un certo periodo, i miei probabili "antenati" furono i signori.
 
Ma erano veramente i miei antenati?
 
E' stato proprio il trovarmi tra quelle rovine che mi ha stimolato a voler ricostruire la storia del castello e del suoi territori, ritrovandomi così a indagare sulle origini della mia famiglia.
 
Cercando di far luce sulla sua storia, inizio a navigare su internet e a consultare alcuni testi, ai fini di ricostruire i vari tasselli che hanno portato i conti di Cosliacco e della Val d'Arsa, a Cherso.
 
La prima scoperta è che la famiglia non proviene da Venezia e che la mitica e tanto raccontata battaglia contro i Turchi, che li avrebbe reso nobili per meriti bellici, non concorda con le datazioni.
 
La seconda incongruenza, se così possiamo definirla, è che non c'è un collegamento tra la fine della signoria istriana e Cherso.
 
Ma allora, perché lo stemma dei signori di Cosliacco è lo stesso della famiglia chersina da cui provengo? Qual è il tassello mancante? Come dobbiamo leggere i documenti in possesso?
 
Mi sono divertito a rileggere la storia della famiglia, cercando di darmi una spiegazione degli eventi, anche se non sono assolutamente convinto che sia la giusta.
 
Se non altro ho cercato di mettere un po' in ordine quello che è stato scritto in merito, togliendo tutti quegli "infiorettamenti moisiani", curiosi da sentire, ma quanto veritieri non si sa.
 
E' stato comunque divertente ripercorrere quegli antichi tratturi e cercare di immaginare come non doveva essere facile la vita in quella parte desolata dell'Istria, anche se in veste di nobili signori.
 
Un castello di controllo, spartano, arroccato su un costone carsico con soltanto una splendida vista e nulla di più! Castigo più che premio!
 
Qui di seguito ho riportato la storia del castello e dei suoi territori, intrecciando la stessa con quella della famiglia e concludendo con un'ipotesi che spero, in un futuro, venga rivalutata e ristudiata da posteri più volenterosi.
 
 
I luoghi
 
II castello di Coslìacco fu eretto ai piedi del monte Maggiore (oggi Učka), nell'area del Parco Naturale del Monte Maggiore, nel punto dove spicca un'altura ripida e isolata, dirimpetto alla sella più bassa, attraversata ai tempi di Roma e nel Medioevo, dalla via che conduceva alla costa liburnica.
 
La denominazione germanica del castello è Wachsenstein, mentre quella slava è Kožljak. Wachsenstein significa rupe del rifugio, ossia una rupe in cui cerchiamo riparo. Kožl(j)ak significa punta delle capre.
 
Entrambe le denominazioni inequivocabilmente indicano la sua posizione rocciosa e inaccessibile.
 
Dominava il lago di Felicia (Cepich), su cui si riversava il torrente Bogliuno e vi usciva con il nome di fiume Arsa.
 
Nella località Čepić, ubicata lungo il bordo del campo omonimo, esisteva, a partire dal 1287, il convento San Paolo al Lago dei frati paolini (Klostar), il più antico in Istria.
 
Nell'anno 1782, i frati lo abbandonano e si stabiliscono a Novi Vinodolski e a Cirkvenica. Finora è stata conservata la costruzione architettonica del convento, circondata dal cortile con il pozzo in mezzo. Oggi esiste solo una pianura coltivata, visto che il lago fu prosciugato da Mussolini nel 1932.
 
Il castello è l'ultimo della serie di residenze feudali che, a partire dal carso triestino, si susseguono a formare una linea difensiva fino al margine occidentale dei pendii della Cioceria e del monte Maggiore.
 
 
Castello di Cosliacco
 
(cenni di storia e geografia)
 
Nell'angolo più orientale della valle, alle radici del Caldiera e sopra il lago d'Arsa, un'enorme rupe, quasi isolata, protende la sua cresta addentellata in linea parallela al filone della montagna, la quale gli s'innalza alle spalle imponente nella sua grandiosità ed asprezza.
 
In vetta di questa rupe, donde si gode l'incantevole     panorama della valle e di un'ampia estensione di paese circostante, si elevano le rovine del castello di Cosliacco o Wachsenstein, che l'edera abbraccia, quasi a preservarle dall'estremo oltraggio del tempo.
 
Non è stato facile arrivare al vecchio castello, ormai quasi completamente diroccato e dimenticato, sui dossi rocciosi della catena del Carso Liburnico.
 
Avevamo infilato la strada che da Vozilici porta a Šušnjevica e dopo vari chilometri con dei paesini quasi completamente disabitati arrivammo finalmente al nuovo paese di Kožljak, il quale però non ha niente da spartire con il vecchio borgo che si trova ben più in alto e piuttosto distante. Inutile chiedere informazioni ai passanti.
 
Sembrava proprio che, nonostante la sua storia, nessuno sapesse dove fosse situato il rudere del vecchio maniero. Svoltammo, per intuito, per Zagrad, per una stradetta poco più larga di un sentiero, fino oltre la ferrovia Lupogliano-Stallie, anche quella ormai da tanto tempo abbandonata.  
 
E fu così che arrivammo prima nel cimitero con la chiesa di San Giorgio, eretta nel 1590 a cura dei conti di Cosliacco per i propri servi della gleba e che ha sulla facciata una lapide murata a caratteri glagolitici, poi nel paesino di pochissime case, tutte, ad eccezione di due, completamente diroccate.  
 
Per forza di cose qui dovemmo lasciare la macchina e quindi seguire un sentiero a ridosso prima di una masiera e poi di muraglioni rocciosi dietro i quali, lo capimmo, doveva sicuramente trovarsi la nostra meta.
 
E fu così, infatti.
 
In meno di mezz'ora giungemmo ai piedi del monte all'entrata dell'antico borgo, che si adagiava sul dorso dell'altura, subito sotto il castello, ed era protetto in parte da massi naturali e sporgenti, in parte da un muraglione di cinta, nel quale si apriva l'unica porta d'ingresso.
 
 
Cenni storici
 
II vecchio maniero è stato costruito nel XII secolo (nei documenti viene citato con il nome di Iosilach o Gosilach). Per la prima volta venne ricordato nel 1102 tra i castelli che il conte Ulrich II Weimar-Orlamunde e sua moglie Adelheida regalarono al Patriarcato di Aquileia. Nel 1234, da questi venne dato in vassallaggio perenne al conte Filippo de Goslaco (Wachsenstein) il quale però dipendeva anche dai conti di Gorizia Meinhard III e poi Meinhard IV. Alla morte del conte Filippo il castello passò al figlio Karstman e poi via via, per secoli fu tutto un alternarsi di signorotti che non si sa bene come facessero a vivere in un maniero tanto isolato e privo, a primo acchito, di ogni conforto.
 
 
L'assedio dei comandanti veneziani
 
Certo sarebbe troppo lungo ricordare l'alternarsi di tutti gli avvenimenti che si svolsero tra quelle mura. Ne ricorderemo alcuni tra i più importanti. Per esempio, quello risalente all'anno 1331 quando il castello apparteneva ai fratelli vassalli Filippo e Ulrich.
 
Costoro durante le lotte che si svolsero attorno a Fola e alle quali parteciparono dalla parte dei patriarchi di Aquileia, fecero prigionieri due soldati della Serenissima, allora strenua antagonista per il potere sull'Istria. Per questo motivo i due comandanti veneziani Marino Venier e Marino Soranzo, nonostante le loro numerose truppe, non riuscirono a prendere d'assalto il castello e liberare i due soldati. L'assedio venne tolto soltanto un anno dopo quando, appunto, nel 1332 arrivò l'esercito del Patriarcato comandato dal marchese Franceschino della Torre. In questo modo i veneziani si trovarono a disagio non volendo ammettere di voler combattere contro gli aquileiesi, anche se in effetti con la loro mossa cercavano di annettere pure Cosliacco alla loro repubblica. Le reciproche relazioni tra vassalli e conti, o i loro sostituti, erano stabilite da antiche leggi e consuetudini che Alberto IV di Gorizia confermò a Neumarkt nel 1365 e in questo documento si rileva che tutti i feudi erano ereditari tanto in linea mascolina che femminile, per ordine di seniorato. Anche i collaterali erano ammessi a succedere nell'eredità del feudo, il quale poteva al caso venir diviso fra più coeredi. I vassalli avevano il diritto di obbligare sul feudo il dono mattutino e la dote della moglie, così pure le doti che assegnavano alle figlie. I feudatari avevano sui loro sudditi il diritto della giudicatura civile e criminale, esclusi i reati maggiori cioè: uccisione, omicidio, furto, grassazione sulla pubblica via, stupro e violazione di domicilio. Per questi casi il giudizio era riservato al conte, o in sua vece al giudice provinciale. Le liti e tutte le divergenze civili fra i nobili venivano risolte dal conte in persona, il quale (o in di lui assenza il capitano della contea) giudicava i vassalli anche nel criminale; ma pei reati più gravi, pei quali andava commisurata di solito la pena di morte, la condanna veniva pronunciata dal giudice provinciale.
 
I vassalli erano tenuti a prestare gratuitamente il servigio di guerra entro i confini della contea d'Istria, ma se chiamati ad operazioni militari fuori delia contea avevano diritto ai medesimi compensi goduti dai cavalieri e militi degli altri stati goriziani. Questa carta delle franchigie feudali della nostra contea rimase in vigore anche nei secoli successivi, essendo stata confermata da tutti i principi austriaci ch'ebbero il dominio su quella parte dell'Istria, dal duca Leopoldo III (1375?) all'imperatore Leopoldo I (1660).
 
 
Il conte Francesco Barbo-Waxenstein
 
Fu quindi tutta una sequenza di conti di varie famiglie che spesso vendevano non solo il possedimento ma pure interi villaggi che erano sotto la loro giurisdizione. Si sa che Cosliacco fu feudo dei Duinati e dei Walsee, poi dei Gutenecher, dei Moyses, finché appartenne alla fine ai Barbo e ai Nicolich loro discendenti. Quest'ultima era una famiglia di antico ceppo veneziano che nel XV secolo era arrivata in Istria. Anche se strettamente legata al cattolicesimo, il ramo cosiddetto "istriano" di questa famiglia appoggiò il protestantesimo tanto che il conte Francesco Barbo-Waxenstein ospitò nei suoi possedimenti diversi illustri uomini di lettere che appoggiavano o professavano questa religione, tra gli altri Jure Cvecic e Matija Ivcic i quali furono tra i primi a iniziare la traduzione della Bibbia in croato, anche se in effetti già ne esisteva una scritta in caratteri glagolitici. Naturalmente, dato che un tale fatto non poteva rimanere inosservato da parte delle autorità ecclesiastiche, nel 1570 addirittura il papa Pio V chiese a Carlo d'Asburgo dì intervenire in suo favore, condannando inoltre i due eretici al rogo. Il conte Francesco Barbo, non sapendo cosa fare, aiutò comunque i due a rifugiarsi nella Kraina dove si persero le loro tracce.
 
 
L'entrata in scena della Serenissima
 
Dopo arrivano i Nicolich, i quali erano i figli di una sorella dei Barbo. Costoro a loro volta di padre in figlio si alternano nel possedimento finché, purtroppo, la lotta dei Veneziani contro gii Uscocchi di Segna entrò anche qui in scena. Infatti la Serenissima, con la scusa che i padroni di Cosliacco aiutavano i loro antagonisti, assaltarono più volte il castello (soprattutto nel 1612 e nel 1614). Poi si giunse alla "Pace di Madrid" e dunque anche le poche forze militari che ancora resistevano, abbandonano definitivamente il maniero. E questa fu veramente la fine di questa fortezza ormai inefficiente dal punto di vista militare e certamente non adatta a una stabile residenza. Gli ultimi Nicolich, che ormai avevano costruito una più comoda residenza a Belai, nel 1688 vendettero tutti i loro possedimenti al principe Johann Weikhard von Auersperg che li radunò in uno unico nucleo. E così Cosliacco, ormai completamente abbandonato, con Passo, Belaj e Cepich diventarono proprietà di quel principe col titolo di Wachsenstein.
 
 
Di tanta storia... quasi nulla
 
Con una certa apprensione riesci a visitare i resti del castello (solo una piccola parte è stata rimessa in sesto chissà da chi, quale residenza estiva), dato che i muraglioni sembrano crollarti addosso da un momento all'altro.
 
    È rimasta ancora intatta soltanto la porta d'entrata, qualche parte del piccolo carcere, un torrione sulla roccia che sovrasta, ormai ridotta a poche rovine, la località e la cisterna alla quale direttamente dai muraglioni viene convogliata l'acqua piovana.
 
Ben visibile è la chiesetta di Sant'Adriano, con il campanile a vela e il tetto crollato, dove il suo altare, una volta difeso da una piccola abside, è stato asportato.
 
Rozzamente scolpiti nella roccia si scorgono, a certi riflessi di luce, i vaghi contorni di cinque o sei scudi, alcuni di forma quasi triangolare, altri con gli angoli inferiori arrotondati. Non ne sono più discernibili le figure araldiche, completamente cancellate dal tempo, ad eccezione di quella dei Barbo: il leone rampante traversato dalla banda.
 
Dal borgo si accedeva per un lungo ordine di gradini scalpellati nel vivo sasso, al castello baronale piantato solidamente sull'orlo della roccia a perpendicolo, che gli serviva di fondamento e di difesa. Il corpo principale e più antico del maniero si componeva di un lungo edificio rettangolare a due piani, fiancheggiato da una torre quadrata. Benché avesse subito nel corso di tanti secoli molte ricostruzioni e riattamenti, pure conservò fino all'ultimo l'impronta della sua fisionomia primordiale. Era di costruzione semplicissima, privo all'esterno di qualunque segno ornamentale; fra le sue rovine non si rinvenne mai né una lapide, né uno stemma, né alcun altro frammento decorativo.
 
La parte più esposta di Cosliacco, anzi forse la sola vulnerabile, era al suo lato sinistro verso mezzogiorno, d'onde il nemico avrebbe potuto senza molta difficoltà raggiungere le mura del castello. Ma in quel punto all'insufficienza della natura era stato supplito adeguatamente con l'arte. Sull'eminenza della rupe si ergeva la gran torre di guardia o maschio, provvista di feritoie e di bertesche, e un po' più indietro, sul pendio verso la montagna, si trovavano i baluardi costruiti in forma di un ampio recinto semicircolare alternato da torricelle rotonde.
 
    Altre opere di difesa e numerose vedette, di cui rimangono le tracce lungo tutto il crinale della rupe, proteggevano a settentrione la viottola principale del castello.
 
Le strade, che dal Caldiera scendevano nella valle, erano guardate da fortilizi staccati; uno di questi sorgeva sotto il ciglione del monte Cremeniach, nella località detta oggi Gradaci un altro al passo di Prodol, ch'era attraversato dall'antica strada proveniente dalla Liburnia, mentre più in basso, sopra una balza scoscesa,  la  torre di Colmiz ricordata in un diploma del 1342, custodiva da presso la rocca di Wachsenstein e il sentiero che per il piano, costeggiando la sponda orientale del lago, metteva capo a Fianona.
 
Dunque, di tanta storia non è rimasto quasi nulla e sembra davvero strano che in questo rifugio d'aquile per lungo tempo si siano alternati tanti possessori, anche se in effetti la vista sulla vasta area della Val d'Arsa è davvero magnifica.
 
 
 
La leggenda della vacca
 
Naturalmente in un luogo come questo, oggi lasciato alla completa incuria del tempo, non potevano mancare le leggende. Una si riferisce proprio all'assedio delle truppe della Serenissima. I loro già citati comandanti volevano prendere il castello con la fame e diedero perciò ordine che non fosse permesso di far entrare alcun prodotto alimentare. Naturalmente Filippo e Ulrich non sapevano più cosa fare per poter resistere ai veneziani quando venne loro in mente un'idea: radunarono tutto il frumento di cui ancora disponevano e lo fecero mangiare a una vacca che per giunta venne rimpinzata anche di tutto il sale che c'era nelle cucine. Poi fecero aprire il portone, lasciarono andare la bestia e qualche donna per un po' la seguì, vociando come per far capire che fosse scappata dalla stalla.
 
Naturalmente per tutto quello che aveva mangiato e per il sale che aveva ingerito, la povera bestia fu assalita da una sete tremenda e quindi in tutta fretta si diresse giù per la vallata per poter raggiungere, al più presto, un piccolo torrente e dissetarsi.
 
I due comandanti veneziani si meravigliarono non poco nel veder venire avanti quella vacca ben pasciuta.
 
"Oh, una bella bestia, non c'è che dire!", esclamarono. Poi ai loro soldati comandarono: "Su coraggio, acchiappatela, che ci faremo un bel pranzo! Una vacca allo spiedo per tutti!"
Detto, fatto. I veneziani acchiapparono la bestia e la macellarono.
Quando, però, i due comandanti s'accorsero di tutto il grano che aveva nello stomaco conclusero perplessi:
"Se quelli del castello hanno tanto frumento da darlo anche alle vacche, non si arrenderanno mai!"
Diedero subito l'ordine di levare l'assedio e di tornare a Venezia.

Naturalmente questa è soltanto una leggenda.
 
 
La casa del guardiano alla destra dell'entrata da dove parte la scalinata che portava al maniero vero e proprio
 
 
 Il pozzo che raccoglieva l'acqua piovana, utilizzata dai castellani
 
 
Quel che resta delle mura


Quel che resta della chiesetta di Sant'Adriano
 
 
Cepich e le leggende del lago
 
Cepich (Čepić) è un insediamento creatosi attorno al convento, da tempo scomparso, di S. Paolo al Lago ed alla chiesa della Madonna sul Lago, risalenti alla fine del XIV secolo e costruiti con i mezzi dei signori di Cosliacco. Il convento, col tempo, ottenne vari possedimenti. Il nome di questa località non ha mai subito variazioni che non fossero semplicemente dovute alla grafia (nei documenti in lingua tedesca troviamo Zepitsch), con un'unica eccezione dovuta alla slavofobia dei fascisti che la ribattezzarono "Felicia" dopo il prosciugamento del lago e la bonifica della Valle dell'Arsa fino al mare e alla zona paludosa di Carpano. Ci furono, tuttavia, non poche correzioni, sicché troviamo anche le varianti di Ceppici, Ceplia e Cepliano.
 
Da un antico e primitivo castello che era forse l'abitazione del gastaldo dei Patriarchi aquileiesi (sorgeva in prossimità del lago, non lontano dal convento della Madonna al Lago), diroccato nel 1395, i croati chiamarono originariamente il luogo Gradaz. Questo nome non si estese però al villaggio sorto in seguito e chiamato Cepich. Un nome al quale gli austriaci - che scrivevano Zepitsch, come detto, ma abbreviavano anche in Pitsch - aggiunsero la dizione popolare istriana Purgarla. Ed ecco perché. Quando il lago non era ancora impaludato, diversi nobili e borghesi austriaci costruirono qui le loro residenze estive, dicendo "burger". Da questo termine tedesco, la gente del luogo disse Cepich-Purgarìa. Il significato del nome di questa località, è esattamente "piccolo tappo". In proposito esiste una leggenda popolare secondo la quale il lago di Cepich sarebbe stato creato "tappando", cioè imbonendo con pietre e terriccio la voragine del fiume Boljuncica che si versa nell'Arsa. E qui ci sia permesso, anche per alleggerire la lettura, di raccogliere e raccontare due leggende che spiegano appunto "come nacque il lago".
 
Una ragazza, divenuta madre contro la propria volontà dopo essere stata violentata da un signore, decise di sbarazzarsi della "vergogna" gettando il corpicino del neonato nella sorgente del fiume insieme al coltello con il quale aveva reciso il cordone ombelicale; ma al contatto con l’acqua il Bambino riprese vita e, afferrato il coltello, fece un grosso Buco nel letto del fiume, trasformandolo in lago.
 
L’altra leggenda dice che un contadino ricoperse con pelle di bue il buco dal quale sgorgava il ruscello Boljunčica e, cosi tappandolo, provocò la formazione del lago.
 
Questa seconda variante non manca di una certa fondatezza. II lago, infatti, di origine carsica, veniva alimentato dal fondo da sorgive di falde carsiche.
 
Qualche studioso, però, respingendo le spiegazioni della leggenda popolare, afferma che non si tratta di "tappi" bensì dei Gepidi, nel significato di "lacum gepidicum",
 
Da "claustrum" - chiostro è derivata la località di Klostar, sempre nella zona di Cepich, che ricorda l'antico convento dei Paolini.
 
Da "zatka" un termine croato adoperato quasi esclusivamente nell'Albonese per indicare un "campo", e cioè parte di un possedimento agricolo, di un podere, derivano invece i toponimi di Zatka- Čepić e Zatkari.
 
 
Descrizione Littoria della Val d'Arsa
 
Da: "L'Istria Autarchica del Duce"
 
La strada costiera, man mano che si avvicina all'Albonese, peggiora nonostante i rifacimenti e le continue manutenzioni. Quando i centri abitati importanti (Mošćenička Draga o Val Santamarina) finiscono diventa decisamente brutta nel fondo e nelle curve. Anche l'imbarco per Porozina (per l'isola di Gres o Cherso) appare come una località dispersa nella boscaglia marina. La curva che imbocca la Plominska Luka però ci assicura subito una sorpresa. La centrale a carbone che distribuisce energia all'Istria Centrale, ma non solo. Un molo con un trasportatore a rulli dirige il pezzame nero (carbone solforoso) verso il piazzale alla fine del fiordo sormontato dalla grande ciminiera. Il piccolo, ma antico abitato di Plomin (Fianona), nasconde radici e fondamenta Romane (vi trovarono morte due congiunti di famiglia imperiale nel III secolo d.c.) ristretto com'è fra alte mura e case dimesse. Qui i pochi italiani presenti se ne sono andati da tempo.
 
Nel comprensorio castelli e rocche a Cosiliacco (Kožljak, rovine), Chersano (Krsan) e Felicia (sull'omonimo lago prosciugato nel ventennio), nidi di falco, vedette e fortezze militari a guardia della vallata, proprietà dei Conti della Val d'Arsa che vissero le alterne vicende dei continui contrasti tra i Patriarchi di Aquileia, la Repubblica di Venezia ed i Conti di Gorizia.
 
 

Origini
 
I primi documenti che parlano della famiglia Moise la vedono originaria dell'Ungheria:
 
<antica e nobile famiglia Moyses, d'origine ungherese, trasportatasi a Segna verso la metà del XIV secolo, al servizio dei conti Frangipani di Veglia e Modrussa, i quali dal 1358 erano dipendenti dei re d'Ungheria. >
 
Nel 1369, durante l'assedio di Trieste, erano al soldo dei Veneziani, con 50 uomini, dominus Moyses miles
 
(Segna, Sardagna, Op. cit. Arch. Triest. Voi. IX, pag. 231)
La data riportata sullo stemma nobiliare è 1386, con l'elmo e il cimiero, simboli di meriti guerrieri.
 
L'ipotesi è che il titolo nobiliare possa derivare da distinzioni ottenute durante questo assedio triestino.
 
Da questo momento si ha un periodo buio ed è possibile che la famiglia si sia trasferita o abbia acquisito dei possedimenti sull'isola di Cherso.
 
Una seconda ipotesi potrebbe essere che la famiglia Moyses ungherese abbia collegamenti solo con Cosliacco e che i Moise     chersini provengano da Venezia, con origini ebraiche (forse di origine rumena). Di conseguenza due famiglie con origini separate.
 
Un aiuto potrebbe arrivare dagli studi araldici e dal confronto degli stemmi ritrovati su lapidi o altre sedi.
 
Periodo Istriano (Cosliacco)
 
Nel 1422 proprietari del castello di Cosliacco erano Giovanni e Giorgio Wachsensteiner, senza dubbio figli o di Ermanno o di Nicolò di Guteneck.
 
Giovanni che mantenne il cognome Guteneck passò ad altra vita avanti l'anno 1430. Era sposato con Anna Schemperger (Schönberg) dalla quale ebbe diversi figli, morti tutti in età infantile. Con lui si estinse la stirpe dei Gutenecker, giacché il premortogli fratello Giorgio non aveva lasciato eredi diretti.
 
Sembra che Anna di Guteneck, dopo la morte del marito, cedesse Cosliacco a Gregorio Moyses, suo prossimo parente, ma che la validità di questa trasmissione collaterale del feudo venisse oppugnata da altri pretendenti all'eredità dei Gutenecker, e forse dallo stesso duca d'Austria Federico III, al quale Giorgio, figlio maggiore di Gregorio Moyses, dovette promettere nel 1430 di non alienare la baronia sino a tanto che non fosse definita la lite pendente sulla medesima. La lite si sciolse però a favore dei Moyses, poiché in data 9 marzo 1436 a Neustadt il duca Federico III investiva della signoria di Wachsenstein Giorgio, Paolo e Martino figli di Gregorio Moyses e loro figliuoli legittimi. Uno di essi doveva abitare costantemente il castello e tenerlo aperto ai duchi d'Austria. Era loro inibito di muover guerra per proprio conto, all'insaputa dei duchi o senza il loro consenso. Dopo la morte di essi e dei figliuoli, la baronia doveva esser dichiarata vacante e ricadere ai duchi ad eccezione del villaggio di Pitsch (Cepich) e delle due ville deserte Posshart (Possert) e Grebìng (Grobnico) e del mezzo molino sull'Arsa, che verosimilmente facevano parte dei beni allodiali dei Gutenecker, dai quali li acquistò per 250 marche aquileiesi Federico III, cedendoli poi al medesimo prezzo ai Moyses, salvo il diritto di ricupera.
 
Giorgio e Paolo Moyses morirono in guerra, combattendo valorosamente contro i Turchi, per cui rimase unico signore di Cosliacco Martino.
 
Questi era stato un tempo in ottime relazioni di amicizia col conte di Veglia Giovanni Frangipane, il quale nel suo primo testamento del 1453, in cui lasciava in caso di morte Pisola a Venezia, gli legò un assegno annuo di cinquanta ducati. Più tardi però, forse in odio all'imperatore Federico, di cui Martino era divenuto vassallo, gli si volse contro facendolo oggetto di ogni sorta di persecuzioni e di violenze. Secondo il Vinciguerra già negli anni 1460-1468 il conte Giovanni avrebbe invaso la contea d'Istria occupando alcuni castelli e villaggi, che però in appresso furono riconquistati dagli imperiali. Per intromissione della Repubblica venne conchiusa la pace, che fu però di breve durata, poiché il conte, assoldati poco tempo appresso 500 romagnoli sotto il comando del capitano di ventura Dionisio di Ronchifredo, riprese le scorrerie per l'Istria, non rispettando neppure il territorio di S. Marco, Si fu probabilmente in questo incontro, che il Frangipane fece prigioniero Martino Moyses, a quanto pare nel suo stesso castello di Wachsenstein. L'imperatore sporse doglianza del fatto al governo Veneto (il quale dal 1462 esercitava una specie di protettorato su Veglia), in seguito a che, i Savi del Consiglio intimarono, in data 20 dicembre 1470, al conte Giovanni di rimettere in libertà il prigioniero e di restituirgli i beni e gli effetti rubatigli, lasciandolo ritornare incolume e illeso all'imperatore, o dove meglio gli piacesse andare.
 
Il Vinciguerra narra ancora di un'altra spedizione armata, organizzata contro il Moyses dal fiero conte Giovanni, il quale si servì all'uopo del Sangiago di Bosnia, Ciò sarebbe avvenuto nell'anno 1478.
 
A qual grado d'inasprimento arrivasse il malanimo del Frangipane verso il castellano di Cosliacco, possiamo dedurlo dal fatto, narratoci dallo stesso Vinciguerra, che essendosi recato un cittadino di Veglia per certi suoi affari a Venezia, il conte Giovanni lo fece al suo ritorno imprigionare «e dargli strepate vinticinque de corda, togliendoli apresso li primi ducati 200 d'oro per imputargli haver parlato a Venetia cum Martinazo Mosievich, suo inimicho».
 
Ma dopo che il conte, in seguito alla dedizione di Veglia alla Republica (1480), si rifugiò negli stati imperiali, mettendosi sotto la protezione di Federico III, i rapporti fra i due avversar! mutarono quasi per incanto. Ciò avvenne senza dubbio, perché ora all'astuto Frangipane interessava di farsi nuovamente amico il Moyses, persona benvisa ed influente presso la corte imperiale, alio scopo di averlo alleato nei diplomatici raggiri iniziati per il ricupero dell'isola. E Martino, dimenticando gli oltraggi patiti ad opera del suo antico persecutore, deve essersi realmente prestato in favore di lui e della sua famiglia, se la moglie del conte, di nome Elisabetta, abitante con la figlia a Venezia, lo costituì in data 19 agosto 1484 suo esecutore testamentario, assegnandogli un lascito di 400 ducati prelevabili dalla di lei dote.
 
I Moyses però, non imitarono i loro predecessori (i Guteneck) nel beneficare il convento di San Paolo al Lago e nel favorirne l'incremento. Sorsero anzi aspri conflitti fra gli eremitani ed i signori di Cosliacco, rifiutandosi a quanto pare Martino Moyses di riconoscere certi privilegi del monastero contenuti nell'atto fondazionale del 1395. Ma nel 1471 si addivenne fra le due parti, per volere dell'imperatore, ad una riconciliazione, nel quale incontro Martino Moyses, in unione al figlio Giorgio, donò ai Paolini la chiesa di S. Michele presso Grobnico, con tutto il territorio ad essa appartenente <prò omnibus suis et dicti Monasteri differentiis et controversiis inter ipsos praesentes usque ad praesentem diem habitis>. Nello stesso tempo concedeva ai detti frati un tratto di torrente sotto la villa di Lettai col diritto di costruirvi un mulino, una sega da legni e una gualchiera.
 
L'accordo, consolidato da questa doppia donazione, deve essersi mantenuto stabilmente sino alla morte di Martino Moyses, il quale ebbe distinta sepoltura nella chiesa del monastero.
 
Nel presbiterio dell'ex chiesa del convento al Lago esiste una lapide sepolcrale, alquanto rosa dal tempo, appartenente a quanto sembra a Martino Moyses, il quale sarebbe morto nel castello di Cosliacco nell'anno 1492 (dopo 56 anni di comando). La lapide porta nel mezzo, in rilievo, lo stemma dei Moyses: il leone rampante, rivoltato e coronato; sopra lo scudo semirotondo un elmo chiuso, sormontato da un gran cimiero piumato.
 
Martino lasciò quattro figli, tra cui un solo maschio, nominato Giorgio, il quale nel 1494 ottenne dall'imperatore Massimiliano I l'investitura feudale della signoria di Wachsenstein.
 
Giorgio Moyses non si adattò agli ozi della vita privata, ma dotato di vivace ingegno e di attitudini militari, entrò giovane ancora in servizio dell'imperatore, intraprendendo la carriera dell'armi e dei pubblici uffizi. Prese parte a diversi tornei, che sotto Massimiliano I, l'ultimo cavaliere del medio evo come gli storici amarono battezzarlo erano ritornati in gran fiore. Ebbe campo a dimostrare la propria vigoria e destrezza nel maneggiare la lancia, tenendo testa più volte a Gasparo Lamberg, già capitano di Pisirrg, uno de' più forti e celebrati torneatori del suo tempo.
 
Nell'anno 1494 Giorgio Moyses assunse, con l'annuo stipendio di 500 libbre, l'amministrazione del capitanato di Pettavia in Stiria, che ritenne sino al dicembre del 1499, quando passò a reggere il capitanato di Pordenone nel Friuli.
 
Con decreto d. d, Braunschweig, 2 dicembre 1501, Massimiliano I lo nominò capitano di Trieste, affidandogli il governo della città e la custodia del castello. Il Moyses prese possesso della sua nuova sede il dì 15 dello stesso mese, dopo avere prestato il giuramento d'obbligo dinanzi al consiglio dei patrizi.
 
A Trieste, ove aveva molte relazioni di parentela e di amicizia, i! nuovo capitano seppe cattivarsi la benevolenza dei cittadini, gelosi difensori dei loro diritti e privilegi, col rispettarne le leggi statutarie, che conservavano al piccolo ma eroico comune tutti i caratteri della sua antica autonomia. Rimase ininterrottamente in tale carica sino al 1508, quando, scoppiata la guerra fra la Repubblica di S. Marco e l'imperatore, Trieste venne assediata e presa dai Veneziani. Però il Moyses abbandonò la città alcuni giorni prima della resa. Il 27 aprile, mentre Giorgio Cornaro si apprestava ad accerchiarla dalla parte di terra, egli vi si trovava ancora; anzi in quel giorno scrisse una lettera al provveditore della rocca di Senosecchia, esponendogli le tristi condizioni di Trieste, e qualmente i capi del comune, impressionati dall' incalzare degli avvenimenti, lo avessero pregato di prender stanza in città anzi che nel castello, al che egli aderì di buon grado delegando in propria vece nel forte il capitano militare Giacomo Gali.
 
Due giorni dopo, radunatosi il consiglio, fu deciso, dietro proposta del Moyses, di chiedere un pronto soccorso di 200 fanti al capitano della Carniola, inoltre d'inviare una lettera al duca di Braunschweig, comandante supremo delle milizie austriache, per indurlo ad accorrere senza indugio in difesa della città pericolante.
 
D'allora Giorgio Moyses non appare più presente a Trieste; sembra che si recasse in persona dal duca ad implorare il suo aiuto; però senza successo, giacché il 6 maggio sul castello di S. Giusto venne inalberata la bandiera bianca.
 
Un anno più tardi, dopo la conclusione della lega di Cambrai, essendosi mutate le sorti della guerra, i Veneziani si trovarono indotti a sgomberare Trieste (3 giugno 1509), che venne tosto rioccupata dagl'imperiali. A capitano cesareo vi fu delegato Nicolo Rauber, il quale entrò ben presto in conflitto col comune per certe questioni sulle pubbliche arrende. I Triestini inviarono oratori a Massimiliano per chiedergli la destituzione del Rauber e la riconferma del Moyses alla carica di capitano. Secondo il lenner, l'imperatore avrebbe accolto la domanda dei Triestini; sta il fatto però che Giorgio Moyses non ritornò più al reggimento della città. Egli era allora occupato altrove, nella guerra contro i Veneziani, la quale aveva preso un prospero andamento per le armi austriache.
 
Nel 1510 fu chiamato a far parte del consiglio di guerra per le provincie meridionali austriache, alla testa del quale si trovava i! già menzionato duca di Braunschweig.
 
Eppure il Moyses, che prima e durante questa guerra si mostrò tanto attaccato alla causa dell'imperatore, aveva vagheggiato l'idea di darsi in soggezione a Venezia, piuttosto di perdere il dominio sulla signoria di Wachsenstein, quando nel 1508 le bandiere di S. Marco entrarono vittoriose nell’Istria austriaca, sottomettendo uno dopo l'altro tutti i paesi della contea. A tal uopo egli aveva dato incarico a Giovanni de Herberstein di Lupoqlavo (il quale era già in trattative col capitano di Raspo per la dedizione del suo castello) di farsi interprete de' suoi intendimenti presso il governo della Repubblica. Però la cosa non ebbe seguito, sia che i Veneziani non prendessero troppo sul serio le proteste di devozione del Moyses, sia che a questi ripugnasse all’ultimo istante l'idea del tradimento.
 
Anche Cosliacco, come gli altri castelli della Val d'Arsa, cadde quindi in potere dei Veneti, e al suo presidio furono destinati sei soldati piranesi. Ma l'anno appreso gli imperiali riconquistarono la contea, e il castello suddetto ritornò al suo legittimo proprietario.
 
Nel 1488 Giorgio Moyses aveva preso in moglie Veronica, ultima figlia di Nicolo Lueger, dalla quale non ebbe prole. Per cui nominò eredi di tutti i propri beni feudali e allodiali i nipoti, figli delle sue tre sorelle, Nicolo Marchis, Castellano Barbo e Giacomo Nicolich, ai quali procurò nel 1518 l'investitura legale della signoria di Wachsenstein da parte dell' imperatore Massimiliano I, e nel 1523 dal suo successore nei paesi ereditari austriaci Ferdinando I.
 
Tuttavia Ferdinando, dopo la morte del Moyses, avvenuta intorno all'anno 1525, sollevò delle obbiezioni circa il passaggio di Cosliacco in proprietà dei di lui nipoti, e ciò in base all’atto di infeudazione del 1436, giusta il quale la successione ereditaria della baronia non avrebbe dovuto estendersi che ai soli figli degli investiti. Si fu allora che i nipoti di Giorgio Moyses presentarono al procuratore camerale degli Stati austriaci la nota rimostranza (della quale abbiamo tenuto già parola nel corso di questa narrazione), ottenendo alla perfine il riconoscimento dei loro diritti.
 
 
Conclusione e Date di Riferimento
 
1358: i Moyses sono a Segna, provenienti dall'Ungheria, sotto i conti Frangipane di Veglia e Modrussa.
 
1369: durante l'assedio di Trieste erano al soldo dei veneziani, con 50 militi, dominus Moyses miles et Moysinus de Judicibus de Segna.
 
1386: la data sullo stemma nobiliare con l'elmo e il cimiero per meriti guerrieri.
 
1430: Gregorio Moyses, parente prossimo di Anna di Guteneck, entra in possesso della baronia di Cosliacco.
 
1436: i figli Martino, Giorgio e Paolo vengono ufficialmente investiti dal duca Federico a Neustadt della signoria di Wachsenstein (Cosliacco).
 
1453: dopo la morte valorosa di Giorgio e Paolo in una battaglia contro i turchi, Martino rimane l'unico erede e mantiene rapporti con i Frangipane di Veglia.
 
1492: muore Martino che viene sepolto nella chiesa del monastero di Lago, dove su una lapide c'è lo stemma dei Moyses: // leone rampante rivoltato e coronato; sopra lo scudo semirotondo un elmo chiuso, sormontato da un gran cimiero piumato.
 
1494: Giorgio II, unico figlio maschio di Martino, viene investito direttamente dall'imperatore Massimiliano I, della signoria di Wachsenstein.
 
1501: Massimiliano I lo nomina capitanato di Trieste, affidandogli il governo della città e la custodia del castello. Tale incarico gli rimase fino al 1508, quando Venezia occupa la città.
 
1525: Giorgio Moyses muore senza lasciare eredi per cui il feudo passa ai nipoti Barbo, Nicolich e Marchis.
 
Lo stemma descritto sulla lapide di Martino Moyses è lo stesso che troviamo a Cherso? Può darsi che nei vari passaggi il leone rampante abbia modificato la postura?
 
Nella biografia dell'abate Moise si trova scritto che il nobiluomo deriva da una nobile famiglia (Moyses o Moysevich) proveniente da Segna. Inoltre è documentato che due Moise si sono distinti nella battaglia di Lepanto contro i Turchi nel 1581, su una galera chersina, a difesa di Venezia.
 
IPOTESI:
 
la famiglia Moyses ha origini ungheresi e a metà del XIV secolo (1350 circa) arriva a Segna, vassalli dei Frangipane di Veglia. Qui contribuisce con 50 uomini alla battaglia contro Trieste, al soldo dei veneziani, e potrebbe aver acquisito un titolo nobiliare per meriti guerrieri (1386), con annessi territori sull'isola di Cherso, divenendo proprietaria di Tramontana. Nel XVI secolo costruisce il palazzo Moise al centro della cittadina.
 
Nel 1430 Gregorio Moyses accetta di trasferirsi a Cosliacco su chiamata della parente Anna Shemperger, rimasta sola e senza eredi diretti, dopo la morte del marito.
 
A questo punto la famiglia, già con un titolo nobiliare riconosciuto, assume anche il titolo di signori di Cosliacco e della Val d'Arsa.
 
Nel 1525 (dopo 95 anni) alla morte di Giorgio Moyses, il feudo passa ai nipoti e rimangono solo i Moyses chersini, divenuti con il tempo MOISE.
 
Abbiamo sempre considerato (e ci è stato verbalmente tramandato) i Moise chersini come discendenti da quelli di Cosliacco, ma forse l'ottica va rovesciata come nell'ipotesi suddetta, che temo rimarrà tale.
 
La costruzione di palazzo Moise risale al 16.esimo secolo. Si tratta di un eccellente esempio di architettura rinascimentale e di conseguenza a suo tempo l'edificio è stato catalogato nel registro dei beni culturali posti sotto tutela.
 
A questo punto sarebbe utile indagare sull'araldica familiare e vedere se effettivamente gli stemmi sono gli stessi, nonostante la modifica di posizione del corpo del leone rampante. Nell'ipotesi che divergano, valutare se lo stemma odierno potrebbe essere legato ad un ramo veneziano e non a quello istriano.
 
Inoltre capire quale legame di parentela c'era tra Gregorio Moyses e Anna di Guteneck e che posizione sociale avesse la famiglia Moyses in Ungheria prima e a Senia poi. Infine avviare ricerche sulla famiglia chersina, attraverso l'albero genealogico, registi ecclesiastici, atti notarili e quant'altro.
 
Le questioni rimangono aperte e speriamo fattibili di ulteriori chiarimenti e approfondimenti.

Al mondo vi sono solamente 10 categorie di persone:
quelle che capiscono il sistema binario e quelle che non lo capiscono
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